Anna Rovaletti
Giorgio Moro
Ugo Cosentino
Claudio Greco
Un modello svela il meccanismo enzimatico di ossidazione aerobica della CO
Il monossido di carbonio (CO) è un gas caratterizzato da una reattività chimica che nasconde molte insidie, sia per la sua ben nota elevatissima tossicità se inalato, sia nel contesto dei processi atmosferici che determinano l’effetto serra.
Per quanto riguarda quest’ultima problematica, va considerato che nell’atmosfera terrestre si riversano ogni anno milioni di tonnellate di monossido di carbonio, per la maggioranza prodotti dalle attività umane. Questo sottoprodotto indesiderato è in grado di interferire con i fenomeni chimici alla base della degradazione di un gas serra potentissimo, quale il metano. In natura, un unico enzima è conosciuto per la sua capacità di ossidare – e quindi “neutralizzare” – il monossido di carbonio in presenza di ossigeno: la monossido di carbonio deidrogenasi Mo/Cu dipendente (Mo/Cu-CODH). L’esistenza di questo enzima in batteri che crescono nel suolo è nota già dalla seconda metà del secolo scorso, ma solo nei primi anni duemila è stato possibile ottenere la struttura dell’enzima a livello di dettaglio atomico, attraverso studi sperimentali di cristallografia. Negli anni immediatamente successivi sono stati pubblicati i primi lavori teorici, basati sulla chimica quantistica, volti a comprendere il meccanismo di funzionamento della Mo/Cu-CODH.
Tuttavia i metodi modellistici all’epoca utilizzati non erano sufficientemente accurati per fornire risposte adeguate, ovvero in linea coi dati sperimentali che via via andavano accumulandosi sull’attività di tale enzima. I più moderni approcci di modeling ibrido, classico-quantistico, risultano essere in effetti indispensabili in tale contesto e una profonda consapevolezza di ciò è andata consolidandosi, nell’ultimo lustro, nell’ambito del nostro gruppo di ricerca. Questa è risultata una premessa fondamentale per l’ottenimento dei risultati sul funzionamento delle Mo/Cu CO deidrogenasi a livello di dettaglio atomico che sono stati recentemente pubblicati sulla rivista ACS Catalysis [1], in collaborazione con la dott.ssa G. Ritacca e la prof.ssa E. Sicilia dell’Università della Calabria e il prof. U. Ryde dell’Università di Lund (Svezia). In questo studio, è stato possibile riprodurre per la prima volta, in un modello in silico, un meccanismo di reazione che concorda con i dati sperimentali riportati ad oggi; in particolare, è stato spiegato in che modo l’enzima MoCu CO deidrogenasi trasferisce dall’acqua un atomo di ossigeno trasformando il monossido in biossido di carbonio. La CO2 prodotta viene utilizzata dagli stessi batteri e, quindi, non viene rilasciata nell’atmosfera. In prospettiva futura, la scoperta dei dettagli fondamentali del funzionamento delle Mo/Cu-CODH segna il passaggio verso la possibilità di progettare composti che funzionano nello stesso modo e che potrebbero essere impiegati sia in sensori di nuova generazione per la rilevazione del CO sia per la riduzione delle emissioni di questo gas in processi industriali; per quanto riguarda questi ultimi, i catalizzatori attualmente esistenti sul mercato utilizzano – a differenza dell’enzima – metalli nobili molto costosi quali il palladio, il platino o il rodio, che oltretutto necessitano di essere estratti dopo l’uso per fini catalitici. Un approccio bio-mimetico in catalizzatori di nuova generazione darebbe invece la possibilità di sviluppare processi sostenibili per l’ossidazione del monossido di carbonio.
[1] ACS Catalysis 2022, 12, 7336-7343; DOI: 10.1021/acscatal.2c01408
Anna Rovaletti
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