Accessibility Tools

Skip to main content

Asili nido aziendali: un’opportunità sociale, culturale ed economica

Uno dei più importanti cambiamenti degli ultimi decenni è rappresentato dal fatto che è aumentato il numero delle famiglie nelle quali entrambi i genitori lavorano, anche se la cura della famiglia ricade tutt’oggi di più sulla donna, inoltre, nei casi in cui troviamo, all’interno del nucleo familiare, un solo genitore che lavora, si innesca il problema economico, da cui l’infanzia italiana è tutt’altro che esente dato che l’Italia è uno dei Paesi ricchi con maggiore povertà infantile, come riportato dall’Unicef.

Le statistiche Istat sull’occupazione femminile in Italia riportano un quadro per nulla esaltante: il tasso di occupazione femminile rispetto a quello maschile è decisamente più basso, almeno di un buon 20 per cento, questo nonostante nel nostro Paese il livello di istruzione delle donne sia leggermente più alto rispetto a quello degli uomini.

Il divario di genere in Italia appare più marcato rispetto alla media europea. Secondo il Global Gender Gap Report 2020 l’Italia è al 17° posto tra i 20 paesi dell’Europa occidentale: solo 1 donna su 2 lavora.

Come superare questo divario?

La creazione di nuovi asili nido, più le agevolazioni e incentivi economici per poter usufruire di questo servizio senza gravare troppo sull’economia familiare, potrebbe agevolare il superamento di questa differenza, favorire l’ingresso di un numero maggiore di donne nel mondo del lavoro e una crescita della natalità che, come sappiamo, sta raggiungendo quote sempre più basse e preoccupanti.

Secondo la definizione di Istat l’asilo nido è:
un servizio rivolto alla prima infanzia (0-36 mesi), finalizzato a promuovere lo sviluppo psico-fisico, cognitivo, affettivo e sociale del bambino e ad offrire sostegno alle famiglie nel loro compito educativo, aperto per almeno 5 giorni a settimana e almeno 6 ore al giorno per un periodo di almeno 10 mesi all’anno.
Mentre l’asilo nido aziendale viene definito come: “un servizio di asilo nido destinato alla cura e all’accoglienza dei figli dei dipendenti di una determinata azienda, o gruppi di aziende (interaziendali)”.

L’obiettivo dell’Unione europea

Nel 2002 L’Unione Europea aveva fissato l’obiettivo di offrire il servizio per la primissima infanzia al 33 per cento dei bambini entro il 2010.

Nel nostro Paese si è innescato l’impulso a diversi interventi normativi. Il primo è stato un piano straordinario per lo sviluppo della rete dei servizi per la prima infanzia, avviato nel 2007 e concepito proprio per avvicinarsi alla soglia minima stabilita Ue, seguito dal decreto legislativo 65/2017 che, oltre a istituire un sistema di istruzione integrato nella fascia 0-6, ribadisce l’obiettivo del 33 per cento nella normativa nazionale e stanzia finanziamenti per il triennio 2017-19.

Purtroppo questi interventi da parte dello Stato non hanno portato ai risultati sperati, all’interno del Report Istat “I servizi educativi per l’infanzia in un’epoca di profondi cambiamenti anni 2021-2022” leggiamo che gli asili nido aziendali sull’intero territorio nazionale, nel periodo preso in considerazione, sono n. 191, mentre, secondo le statistiche Istat del 2019 erano n. 212.

L’offerta pubblica è, infatti, preponderante, da nord a sud, fatta eccezione del Veneto, dove, invece, il settore privato, prevale rispetto a quello pubblico (59,2 per cento contro il 40,8 per cento del pubblico).

La maggioranza degli asili nido aziendali è concentrata a Nord, ma comunque restano in generale pochissimi. Nel 2020, secondo l’osservatorio “Con i bambini”, l’Italia ha raggiunto la percentuale del 27,2 per cento nei servizi dedicati alla prima infanzia. Un dato in crescita ma lontano dagli obiettivi Ue, che ha appena innalzato la soglia da 33 a 45 per cento.

Ancora poche le aziende italiane pronte ad accogliere un asilo nido all’interno delle loro strutture

Le aziende attente alle esigenze dei propri dipendenti valutano l’apertura di un nido aziendale come strumento per migliorare la conciliazione vita-lavoro di tantissimi neogenitori. Esistono esempi di aziende virtuose che fanno dell’asilo nido un motivo di orgoglio e uno dei ‘benefit’ più appetibili. Tra queste: Nestlè e Ferrero, ma anche Artsana Group, di cui fa parte anche la Chicco, l’Università di Milano-Bicocca , la Pirelli, la Ferrari e molte banche come la Deutsche Bank, Unicredit, BNL, Intesa San Paolo e Mediolanum, infine, compagnie telefoniche come Telecom, Vodafone e Wind.

Anche alcune aziende sanitarie lungimiranti hanno deciso di istituire nidi aziendali per consentire ai dipendenti ospedalieri, in particolar modo ai turnisti, di poter conciliare la vita lavorativa con la cura dei propri figli, in un’ottica di work life balance.

Francesca Linda Zaninelli, Germana Mosconi

Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione "Riccardo Massa"

I nidi di infanzia aziendali ospedalieri

Sono 66 i servizi educativi aziendali ospedalieri dislocati su tutto il territorio nazionale. Hanno modalità di gestione dei servizi molte diverse gli uni dagli altri e elementi specifici che rispondono alle differenti esigenze dei territori

Come già detto, la messa a disposizione di asili nido aziendali ha dei risvolti fondamentali nel miglioramento della disparità di genere e nell’aumento dell’occupazione femminile e i risvolti positivi risultano ancora più importanti nei casi di segmenti medio-bassi di reddito e nelle situazioni di maggiore disagio per le famiglie più svantaggiate, purtroppo però ad oggi le difficoltà che si riscontrano sono ancora tante: l’offerta di asili nido pubblica è insufficiente, quelli privati sono molto costosi e quelli aziendali restano un’utopia, sono rari e complicati da aprire, nonostante la legge 448/2001 art. 70 che avrebbe dovuto incentivare i nidi all’interno di aziende.

Quali strategie vengono messe in atto oggi?

A novembre 2023 è stato presentato da parte del Governo il Codice di autodisciplina di imprese responsabili a favore della maternità, proposto alle aziende che vorranno attuare politiche in favore della maternità e a sostegno dei percorsi di carriera delle lavoratrici madri, lanciato dal Ministero per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità.

Sono un centinaio le aziende firmatarie del patto che impegna a favorire la continuità di carriera delle madri, le iniziative di prevenzione e cura dei bisogni di salute, l’adattamento dei tempi e modi di lavoro, il sostegno alle spese per la cura e l’educazione dei figli.

Il Codice affiancherà la Certificazione della parità di genere alle imprese, prevista come obiettivo del PNRR, a sostegno dell’empowerment femminile nel mondo del lavoro.

cambiare la scuola con creatività

Come cambiare la scuola: servono creatività e condivisione

Si è sempre fatto così” è il mantra della scuola italiana, spesso ancorata ad abitudini e regole non scritte che le impediscono di esprimere al massimo le proprie potenzialità e creare un clima positivo e valorizzante per ogni alunno e alunna, così come per ogni insegnante e attore della comunità scolastica. 

Eppure, spesso lontano dai riflettori mediatici, dirigenti scolastici e insegnanti, rappresentanti degli studenti o dei genitori, figure esterne ma partecipi della vita scolastica, si attivano per sperimentare modalità creative e non standardizzate di fare scuola orientate verso il benessere di tutta la comunità scolastica.

Creare un benessere scolastico

Infatti, la legge dell’autonomia scolastica (D.P.R. 275/1999) spiega proprio questo: ogni istituto può attuare specifici (addirittura originali!) provvedimenti da adattare a un singolo contesto. Sono tre le principali forme di autonomia riconosciute alla scuola. Proviamo a vederle un po’ più da vicino. Innanzitutto, l’autonomia didattica, grazie alla quale ogni scuola può definire i propri percorsi formativi e regolare i tempi delle lezioni e delle attività in base ai ritmi di apprendimento degli alunni, personalizzando quindi l’offerta formativa e adattandola alle esigenze degli studenti. Ma è con l’autonomia organizzativa che ogni scuola ha il potere di decidere l’impiego dei docenti e di adattare il programma scolastico alle esigenze specifiche del contesto in cui opera. Vi è infine l’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo: le scuole possono pianificare la formazione e l’aggiornamento del personale docente, rimanendo così al passo con le nuove metodologie didattiche, adattandosi ai cambiamenti tecnologici, sociali e culturali.

Abbiamo provato a fare un “viaggio” sulle tracce delle iniziative nate in diverse scuole del Paese che, cercando di creare modelli virtuosi di organizzazione scolastica in grado di promuovere tutti i soggetti della comunità (alunni, insegnanti, dirigenti e famiglie), hanno dato vita a esperimenti per cambiare la scuola. Siamo partiti da alcuni spunti suggeriti da Anna Granata, professoressa associata di Pedagogia Generale nel Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che di cambiamento scolastico si occupa da sempre (si veda il box di approfondimento in questo articolo). «L’obiettivo comune di tutte queste iniziative – spiega la prof.ssa Granata – è di trovare strategie creative per realizzare il benessere scolastico di alunni e alunni in primis, ma anche di insegnanti, dirigenti, genitori, educatori, senza adagiarsi su modalità standardizzate di fare scuola». 

Prof.ssa Ornaghi - Progetto Teaching to Be

Veronica Maria Ornaghi

Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione "Riccardo Massa"

Scuola e benessere dei docenti: il progetto “Teaching to Be”

Il progetto "Teaching to Be", coordinato dalla prof.ssa Ornaghi con la collaborazione delle dottoresse Elisabetta Conte e Valeria Cavioni, dimostra l'importanza del benessere dei docenti sul posto di lavoro

Dagli orti alle stelle, la scuola che cambia

La scuola secondaria di primo grado “Giosuè Carducci” di Busca in provincia di Cuneo, in Piemonte, ha modificato l’orario settimanale eliminando il sabato e istituendo le “lezioni di astronomia”, di notte, nel giardino della scuola dimostrando creatività organizzativa e un coinvolgimento attivo da parte dell’intera comunità. Il liceo delle scienze umane “Parini” di Seregno (MI), per favorire l’inclusione, data l’alta percentuale di alunni disabili frequentanti la scuola, ha promosso l’“ora d’orto”: studenti di classi, età e condizioni diverse lavorano insieme, si conoscono e coltivano amicizie oltre i confini spesso rigidi dell’aula di scuola.

Luogo di discussione, fautore di un senso di comunità capace di sciogliere le distanze: la scuola è anche questo e dei docenti hanno voluto dimostrarlo, organizzando un collegio docenti per programmare il successivo anno scolastico ad alta quota, camminando nella natura. Davide Martini, dirigente scolastico piemontese, è convinto che camminando insieme, insegnanti, dirigenti, rappresentanti dei genitori si sciolgano molti nodi e conflitti spesso esistenti all’interno dei contesti scolastici. Il collegio docenti ad alta quota – vissuto talvolta anche tra dirigenti scolastici di istituti diversi – genera capacità di comprensione, empatia, creatività nel trovare soluzioni spontanee a problemi comuni che a bassa quota sembrano spesso insormontabili!

Come cambiare la scuola: le collette anonime

La scuola dell’infanzia “Carabelli”, situata nella periferia sud Est di Milano, caratterizzata da una forte eterogeneità socio-economica e culturale, ha ideato – a partire da un’idea creativa dei rappresentanti dei genitori – un nuovo modo per gestire il fondo genitori, utile a supportare piccole iniziative delle classi come regali ai docenti o alle classi per progetti extra-curricolari. Al posto di chiedere una somma precisa a tutti i genitori hanno istituito delle collette anonime in cui tutti donano in base alle proprie disponibilità. Con grande sorpresa le cifre ottenute, sulla base di una scelta del tutto libera e responsabile, sono sempre maggiori rispetto a quella stabilita a priori dai rappresentanti e il clima tra i genitori risulta essere molto più positivo e sereno.  

Anna Granata

Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione "Riccardo Massa"

Equità, intercultura, creatività: le tre parole-chiave del gruppo di ricerca “Save the mix”

Un gruppo di ricerca che indaga e approfondisce due dimensioni fondamentali e interdipendenti, l’equità del sistema scolastico e l’intercultura...

Creatività organizzativa: la via per innovare

Le iniziative di creatività organizzativa possono nascere anche da idee degli studenti stessi. È il caso del liceo Righi di Roma, dove i ragazzi hanno le chiavi della scuola, il pomeriggio, per gestire l’aula studio, promuovere corsi, laboratori, incontri formativi, visione di film. Un’iniziativa che riporta al centro i veri protagonisti della scuola: alunni e alunne, capaci di vivere in maniera autonoma e responsabile il loro luogo di vita e apprendimento, la scuola. 

Dagli esempi che abbiamo appena letto risulta chiaro come la creatività organizzativa, come la chiama la professoressa Anna Granata, sia spesso la chiave per trovare soluzioni innovative a problemi semplici o complessi, arricchendo di esperienze positive non solo alunni e alunne ma anche docenti e personale scolastico, in grado di vivere più positivamente il proprio contesto lavorativo. Lo spirito di condivisione, la volontà di capire quali possono essere le difficoltà altrui e il coraggio di provare nuove modalità per vivere insieme la scuola giocano un ruolo fondamentale per il cambiamento nella scuola. I cambiamenti sono spesso “a costo zero”, ma conoscere queste modalità e diffonderle è fondamentale perché non restino legate a singoli contesti locali. 

Alberto Pastori

Area Ricerca e Terza Missione

La campagna crowdfunding del progetto Cinque minuti per cambiare la scuola

Il progetto Cinque minuti per cambiare la scuola vuole dar voce ai protagonisti del mondo scolastico per descrivere in pochi minuti idee concrete di cambiamento organizzativo della scuola in virtù delle possibilità offerte dall’autonomia scolastica. Sostieni anche tu il progetto!
Polo Penitenziario universitario

Quando l’Università “apre” il carcere. Poli Universitari Penitenziari e riabilitazione delle persone detenute

“Sono detenuto in una casa di reclusione e studio Statistica. Non mi interessa se è difficile. Finalmente riesco a vedere il mondo con occhi diversi da quelli con cui lo guardavo fino a pochi anni fa”.

Molti atenei italiani sono oggi impegnati nel garantire il diritto allo studio alle persone detenute o sottoposte a misure di privazione della libertà personale, attraverso l’istituzione di Poli atti a promuovere attività di formazione universitaria nelle carceri italiane.

I Poli Universitari Penitenziari nascono grazie alla collaborazione tra università, istituti penitenziari e altre istituzioni. L’obiettivo principale di queste realtà è consentire ai detenuti l’accesso ai corsi universitari e la possibilità di acquisire competenze accademiche e professionali utili per la loro riabilitazione.
Nel percorso di studi, gli studenti detenuti sono seguiti da docenti universitari incaricati, da tutor, volontari, educatori che ne facilitano e supportano il reinserimento nella società una volta scontata la pena.

L’impatto dei Poli Penitenziari in cifre

I Poli Universitari Penitenziari fanno parte della Conferenza Nazionale Universitaria dei Poli Penitenziari (CNUPP).
Lo scorso 16 aprile, alla giornata di studio organizzata dal CNEL “Recidiva Zero, studio, formazione e lavoro in carcere” è stato presentato il monitoraggio dell’anno accademico 2023/2024. I dati rilevati mostrano un aumento significativo degli atenei aderenti e soprattutto del numero totale di iscritti rispetto agli anni precedenti.
Attualmente sono 40 le università che hanno aderito alla Conferenza con studenti iscritti a corsi di laurea, e altre 4 sono in fase di attivazione; il numero complessivo degli studenti ammonta a 1.707, con maggioranza di iscritti uomini (95,8%) e una distribuzione varia per età, paese di provenienza e tipologia di regime o condizione di detenzione.
Tra le aree disciplinari dei corsi di laurea scelti dagli studenti si predilige quella politico-sociale (27%), seguita da quelle letteraria-artistica (15%) e giuridica (15%). La maggioranza degli iscritti segue un corso di laurea triennale e, ad oggi, sono solo 2 gli studenti iscritti  a corsi di perfezionamento (master o dottorato).
Il coinvolgimento delle università in programmi di istruzione carceraria e la loro presenza nei luoghi di detenzione ha una valenza culturale significativa per il nostro Paese. L’istruzione superiore diventa, così, uno strumento di recupero che trasforma il tempo detentivo in un periodo formativo fecondo durante il quale il detenuto ha l’opportunità di investire su se stesso.

La didattica nelle carceri

Ogni università che da vita ai Poli Penitenziari realizza il proprio progetto didattico inquadrandolo nella realtà sociale e territoriale in cui sono è inserita e opera.

Tra i Poli più attivi, quello dell’Università di Padova è anche il più consolidato sul territorio nazionale. Avviato nel 2003, il progetto coinvolge tutti gli istituti di pena per adulti di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige con sede principale di tutte le attività accademiche nell’istituto penale “Due Palazzi” di Padova. Tutti gli studenti sono supportati da tutor didattici e possono godere di un ambiente ottimale per lo studio.
L’offerta formativa è ricca e articolata e presenta anche la possibilità di partecipare a incontri organizzati periodicamente e dedicati a tutti gli studenti in regime di detenzione.

Nell’area milanese, il Polo dell’Università degli Studi di Milano registra nell’a.a. in corso il numero più elevato di studenti detenuti iscritti (159) che provengono principalmente da sei istituti: Casa di Reclusione di Opera e di Bollate, Casa Circondariale di Milano-San Vittore, di Monza, di Pavia-Torre del Gallo e di Vigevano
Dal 2015, la Statale ha costruito una rete di tutor al fine di sostenere il percorso di studi delle persone detenute in strutture penitenziarie. Ogni anno, il progetto propone laboratori e moduli didattici volti a favorire la frequenza congiunta di studenti detenuti e studenti esterni. Nel 2022 è stato poi avviato il Bard Prison Project – Studenti senza sbarre, progetto di tutoraggio gratuito da parte di studenti universitari ristretti rivolto a studenti e studentesse di scuole superiori e universitari che necessitano di sostegno nello studio.

Il Polo di Bicocca

Un altro Polo milanese è quello nato nel 2013 da un accordo tra l’Università di Milano-Bicocca e il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Lombardia. La didattica del Polo di Bicocca offre un nuovo programma di orientamento in tre fasi, in grado di fornire le informazioni e le risorse fondamentali per supportare i detenuti nel raggiungimento dei loro obiettivi accademici e professionali. Tra le attività didattiche, ci sono anche laboratori e corsi annuali.

Claudia Pecorella

Dipartimento di Giurisprudenza (School of Law)

La consulenza legale alle persone detenute: una didattica alternativa

Lo Sportello giuridico e le cliniche legali dell'Università Bicocca

Il Polo è coordinato da figure interne all’Ateneo che collaborano con i referenti degli istituti di pena; tra queste, è essenziale la figura del tutor, accompagnata nelle sue attività anche dai volontari del Servizio Civile Universale che hanno lo scopo di creare un ponte tra il dentro e il fuori dal carcere.

Maria Elena Magrin

Dipartimento di Psicologia

Il Polo Penitenziario di Milano-Bicocca

L'esperienza del Polo Universitario Penitenziario di Milano-Bicocca

 

Le esperienze sono numerose e differenziate, ma tutte mostrano il valore e l’efficacia di un programma tutto italiano che offre l’opportunità di ricercare un nuovo equilibrio e una motivazione al cambiamento nel delicato passaggio da detenuti a uomini liberi e pienamente inseriti nella società.

Rendez-vous imprenditoriali: gli Entrepreneurs’ Café

Che cos’è un Entrepreneurs’ Café?

Gli Entrepreneurs’ Café stanno ormai diventando una componente sempre più rilevante nel panorama imprenditoriale internazionale, offrendo opportunità uniche per connettersi, condividere idee e trovare ispirazione.
Si tratta di un evento o una serie di incontri progettati che riunisce imprenditori, aspiranti imprenditori e professionisti per favorire e promuovere lo scambio di conoscenze ed esperienze. L’ambiente in cui si svolgono è rilassato e informale, un vero luogo di incontro dove chiunque sia interessato al mondo dell’imprenditoria può partecipare, ricevere feedback sui propri progetti e creare connessioni utili per lo sviluppo delle proprie attività.
Grazie alla partecipazione di relatori o all’organizzazione di panel di discussione e condivisione, questi incontri mirano a ispirare e motivare gli imprenditori e chi si affaccia al mondo imprenditoriale.

Il modello degli Entrepreneurs’ Café: ispirazioni globali, iniziative locali

Il format degli Entrepreneurs’ Café prende le mosse da iniziative simili che hanno riscontrato successo in tutto il mondo. In Italia, si sono diffusi eventi e vere e proprie comunità a supporto degli imprenditori.
Startup Grind è una comunità globale fondata in California ma diffusasi anche in Italia, che organizza eventi mensili nei caffé e nei centri di molte città italiane, offrendo l’opportunità di ascoltare le storie di imprenditori locali e di partecipare a sessioni di networking.Gli incontri organizzati da EntreComp Community Café si ispirano anche al concetto dei caffè degli imprenditori, ponendo l’attenzione sullo sviluppo delle competenze imprenditoriali. Si tratta di eventi a cura di istituzioni educative o associazioni imprenditoriali e includono workshop e sessioni di formazione per esplorare e stimolare la consapevolezza sulle competenze imprenditoriali, fornendo uno spazio di apprendimento e condivisione di idee e buone pratiche.

Verso una collaborazione globale: Entrepreneurs’ Café e le opportunità internazionali

La serie Entrepreneurs’ Café Talk della Camera di Commercio Italia-Cina è un altro esempio di facilitazione di scambio di conoscenze ed esperienze tra imprenditori italiani e cinesi. Questi incontri mirano a promuovere la collaborazione e le opportunità di business tra i due paesi, agevolando la creazione di partnership commerciali e lo sviluppo di nuovi mercati.
Un importante contributo nell’ecosistema imprenditoriale italiano è, poi, PoliHub “Greeners”, programma promosso da Polihub, l’incubatore di startup del Politecnico di Milano. Tra le risorse cui hanno accesso le startup selezionate ci sono il mentoring, spazi di lavoro dedicati, l’accesso a finanziamenti e opportunità di networking con investitori. L’obiettivo è incoraggiare progetti e realtà imprenditoriali che sviluppano soluzioni nel settore dell’ambiente e della sostenibilità, opportunamente supportati per crescere e creare un impatto positivo sul pianeta.
Nel panorama universitario italiano, anche l’Università di Milano-Bicocca ha adottato questa iniziativa attraverso gli Entrepreneurs’ Café organizzati all’interno dello Spoke 3 di MUSA: una serie di incontri aperti a studenti e a giovani imprenditori per incontrarsi promuovendo l’imprenditorialità e l’innovazione tra la comunità accademica.

Elisabetta Marafioti

Dipartimento di Scienze Economico-Aziendali e Diritto per l'Economia

MUSA Entrepreneurs' Café

Anche in Bicocca, gli Entrepreneurs' Café rappresentano un'importante risorsa per gli studenti e i giovani imprenditori che desiderano avviare o sviluppare le proprie startup

Gli Entrepreneurs’ Café sono uno strumento utile all’imprenditoria e all’innovazione, sia a livello locale che internazionale. Offrono uno spazio stimolante e inclusivo dove trovare supporto, ispirazione e nuove opportunità per lo scambio di conoscenze e la creazione di connessioni significative.
Che sia attraverso l’ascolto di storie, lo sviluppo di competenze, la collaborazione o l’istituzione di partnership, gli Entrepreneurs’ Café giocano un ruolo importante nel sostenere l’imprenditorialità in tutto il mondo.

Intelligenza Artificiale: alleata o rivale dell’uomo?

Se non siete esperti del settore e volete approfondire il rapporto tra Intelligenza Artificiale e il suo impatto nella società, probabilmente, vi imbatterete in un oceano di informazioni tra le quali potrebbe risultare complicato pescare le più vicine alla realtà attuale. Dopo qualche articolo letto online e magari l’ascolto di qualche podcast ad hoc, la mente pullulerà di molte domande: davvero siamo alle soglie di un mondo dove l’A.I. sfiderà la nostra creatività, annienterà le distanze culturali, abbatterà le distanze geografiche, prevedrà malattie, eventi atmosferici e crimini? Un mondo dove all’Intelligenza Artificiale affideremo ogni aspetto della nostra vita dall’intrattenimento all’economia, dall’ambiente alla casa, dalla società alla medicina fino alla privacy? Cercherete quindi di trovare delle risposte ma più leggete e più prendete coscienza della questione e una domanda, primo o poi, si farà largo: ma sarà davvero così?

«Oggi esistono due bolle: quelli che pensano che l’AI salverà il mondo e quelli che pensano che l’AI diventerà più intelligente di noi e ci eliminerà tutti» ci racconta Emanuela Girardi, fondatrice e presidente dell’Associazione no-profit Pop AI (Popular Artificial Intelligence): il concetto di Intelligenza Artificiale è ben più complesso e profondo e sul fatto che sia destinata a rivoluzionare ogni aspetto della nostra vita, portando con sé miglioramenti – e rischi – tutti da affrontare, sono tutti concordi.

L’Intelligenza Artificiale può avere un impatto sociale ancora più marcato e le sue applicazioni si svilupperanno in molteplici e svariati campi come la lotta alla povertà e alla fame, salute e benessere dell’umanità, miglioramento dell’educazione, uguaglianza di genere, sostenibilità urbana, l’Economia (crescita economica, innovazione dell’industria e resilienza delle infrastrutture, garanzia di modelli sostenibili di produzione e consumo, sviluppo sostenibile) e l’Ambiente (lotta al cambiamento climatico, conservazione degli oceani e delle risorse marine e tutela dell’ecosistema terrestre). 

Dimitri Ognibene

Dipartimento di Psicologia

Le complessità dell’A.I: imparare a usarla e quando fidarsi

I recenti progressi in Artificial Intelligence (AI) hanno scatenato accese discussioni in vari settori. 

Per approfondire il forte impatto dell’AI nei confronti della società abbiamo contattato due esperti del settore: Piero Poccianti, dal 2000 componente del Direttivo dell’Associazione Italiana di Intelligenza Artificiale di cui è stato presidente da dicembre 2017 a dicembre 2021 e Emanuela Girardi, che oltre a Pop AI, vanta esperienze di studio e lavorative in Europa e negli Stati Uniti, è membro del gruppo di esperti di intelligenza artificiale del Ministero dello Sviluppo Economico e presidente di Adra, l’associazione europea di AI dati e robotica.

 «L’Intelligenza Artificiale» ci ha raccontato Poccianti «è una disciplina appartenente al campo della Computer Science che ha l’obiettivo di realizzare applicazioni ‘intelligenti’. È una tecnologia dichiarativa: i suoi effetti dipendono dalla nostra capacità di modellare il contesto dove la macchina dovrà operare, i vincoli e gli strumenti che ha a disposizione, ma soprattutto gli obiettivi che intendiamo conseguire. Se gli obiettivi sono sbagliati rischiamo di far emergere effetti distopici. Se saremo capaci di dirigere queste applicazioni verso il conseguimento del benessere otterremo un vantaggio per l’intera comunità e per il pianeta di cui facciamo parte».

Per Emanuela Girardi «L’A.I. fa parte delle tecnologie cosiddette a scopo generale, General Purpose Technology, che hanno il potenziale di alterare drasticamente la società e tutti i settori dell’economia». Girardi va dritta al punto: l’impatto sociale dell’Intelligenza Artificiale sarà importante e toccherà diversi fronti: «L’AI cambierà il modo in cui impariamo, ci spostiamo, lavoriamo, comunichiamo, ci curiamo, ci informiamo. Sarà quindi fondamentale imparare a conoscere come funzionano gli algoritmi di AI per poter beneficiare delle grandi opportunità che ci offriranno e per poterli usare in modo sicuro e consapevole, conoscendone i rischi e imparando a gestirli».

Poccianti introduce un Settore in cui secondo lui l’AI potrebbe avere maggiore impatto, la Sanità. «Nel campo della sanità vediamo applicazioni capaci di aiutare un paziente con gravi disabilità (malati di sla terminali capaci nuovamente di comunicare, aiuti per pazienti sordi, non vedenti o con difficoltà motorie), aiuto nelle diagnosi con osservazioni di radiografie, ecografie e altri tipi di esami, realizzazioni di nuovi medicinali, e molto altro. Dobbiamo stare attenti a non cercare di sostituire i medici, attratti dalla possibilità di diminuire i costi». 

Ma esistono altri ambiti in cui bisogna fare attenzione sulle potenzialità dell’AI. «La transizione verso la produzione di energia da fonti rinnovabili non può fare a meno di sistemi di intelligenza artificiale per la realizzazione di reti di produzione e sfruttamento intelligenti. Le fonti rinnovabili sono soggette a variazioni stagionali e temporanee che necessitano di capacità di previsione e ottimizzazione».

«L’IA potrebbe generare un aumento del livello di diseguaglianza fra i cittadini», continua Poccianti, «contribuendo a disoccupazione e povertà crescenti. Se saremo capaci di condividere il vantaggio e ridistribuire il valore, l’IA potrà contribuire a misurare e abbattere la povertà, ma anche a farci capire e superare la cultura dell’odio verso il diverso, le donne, le differenti opinioni, religioni, etnie, ecc. (cfr. http://www.voxdiritti.it/la-nuova-mappa-dellintolleranza-7/)».

Poccianti mette in allarme sulla situazione attuale: «In questo momento le applicazioni di IA sono dirette, soprattutto dalle grandi aziende, verso la generazione di profitto e di aumento del valore del capitale azionario. Questi non sono obiettivi che possono generare benessere, se non come effetto collaterale. Il rischio di far aumentare le diseguaglianze, il consumo energetico, i rifiuti elettronici, ecc. è altissimo. Non è colpa dell’IA, stiamo puntando agli obiettivi sbagliati». 

Interessante il punto di vista di Emanuela Girardi sul modo in cui viene percepita l’AI dalle persone: «Oggi esistono due bolle: quelli che pensano che l’AI salverà il mondo e quelli che pensano che l’AI diventerà più intelligente di noi e ci eliminerà tutti. Ma l’AI non è né buona né cattiva: è un insieme di tecnologie molto potenti che, se usate correttamente possono portare grandissimi benefici all’umanità intera, se usate in modo malevolo possono recare gravi danni. Per la crescita «Dobbiamo quindi spiegare alle persone cosa sono queste tecnologie, come funzionano, quali sono i rischi e come utilizzarle in modo consapevole» continua Girardi «La narrazione che c’è oggi è molto sbagliata, si leggono titoli come ‘l’AI ci ruberà il posto di lavoro’, questo è molto sbagliato. Ci saranno dei lavori che scompariranno, come è sempre stato con l’introduzione di nuove tecnologie, e ci saranno molto nuovi lavori che nasceranno, più di quelli che scompariranno».

L’Intelligenza Artificiale rimane uno strumento delle enormi potenzialità e in grado di darci tutto il supporto di cui necessitiamo se usato nel modo giusto. Come conferma Poccianti «l’IA può fornirci un aiuto prezioso se decidiamo di cambiare radicalmente il modello di sviluppo e di crescita. Questo è il progetto su cui punterei per migliorare il nostro futuro, quello dei nostri figli e nipoti». 

Dello stesso punto di vista è anche Emanuela Girardi, la quale ci dice che se ben utilizzata e indirizzata verso i giusti obiettivi -sicuramente- l’AI potrà aiutare a risolvere molte delle sfide complesse che stiamo attraversando tra cui quella climatica e ambientale. Si deve pensare all’AI come a un utile supporto per aumentare le nostre capacità cognitive e indirizzarla verso lo sviluppo sostenibile. Attualmente però «l’AI è ancora limitata, infatti siamo nel campo della narrow AI o AI ristretta. Ci sono ancora molti limiti, se prendiamo per esempio l’AI generativa, il famoso ChatGPT e i vari LLM, oggi abbiamo ancora un problema di allucinazione delle risposte, circa un contenuto su 10 è falso ma è talmente convincente da sembrare vero». Quale può esser la soluzione? Girardi risponde così: «La soluzione è regolamentare l’utilizzo di questi sistemi, investire in modo ingente nella ricerca e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale e fare attività di formazione ed educazione su questi temi».

«Da soli non saremo capaci di arrivare a uno sviluppo sostenibile e realizzare un’economia circolare, integrata con la natura di cui facciamo parte” conclude Poccianti “abbiamo bisogno di una protesi che ci aiuti a vedere più lontano. Siamo capaci di capire che prendere in mano un ferro rovente è un’azione che ci può danneggiare, ma da soli, non siamo capaci di capire l’impatto delle nostre azioni sull’ecosistema. Abbiamo bisogno di aiutare la nostra intelligenza».

Il rischio maggiore, forse, quello da cui passerà l’A.I. del futuro, è capire quali scelte fare in relazione agli algoritmi che influenzano il tipo di informazioni a cui siamo esposti durante la navigazione online e possono determinare come si formano le opinioni di milioni di persone. Pertanto, le scelte del creatore umano o del manager umano possono avere un impatto enorme sulla società, sulla democrazia, ma anche sulla nostra felicità. Come ha affermato il pluripremiato ricercatore accademico del MIT Constantinos Daskalakis quando si tratta di applicazioni così cruciali «è essenziale che gli algoritmi siano progettati e utilizzati con molta attenzione. Ci sono anche applicazioni in cui non è nemmeno chiaro se si debbano utilizzare algoritmi di intelligenza artificiale». Un esempio in questo senso potrebbero essere gli algoritmi utilizzati oggi dai sistemi giudiziari. «Sono algoritmi che decidono se qualcuno che è stato arrestato per un reato debba essere tenuto in custodia cautelare o rilasciato» racconta ancora Daskalakis «e sono già utilizzati negli Stati Uniti e in altri paesi. L’algoritmo riceve informazioni sull’imputato, sulla sua fedina penale e sulla natura del suo crimine, e decide se è a rischio di fuga o se nel frattempo può commettere un altro crimine»

Federico Cabitza

Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Comunicazione

IA, comprendere i potenziali rischi per evitare o mitigare l'impatto sociale

Il Parlamento europeo sta per approvare un regolamento sull'Intelligenza Artificiale (AI) in cui di essa viene data la definizione chiara di “sistemi le cui predizioni, contenuti e decisioni hanno la capacità di influenzare gli ambienti in cui operano e gli utenti che le adoperano”.

I passi avanti fatti dall’Intelligenza Artificiale negli ultimi anni sono notevoli e tanti progetti a essa collegati sono dedicati ai settori inerenti al benessere dell’uomo. Tuttavia le insidie che si celano dietro l’AI sono molteplici ed è compito dell’uomo condurre questa nuova sfida al suo servizio. E non il contrario.

L’impatto sociale dell’Intelligenza Artificiale sarà il tema principale dell’Innovation Pub del 24 ottobre, primo appuntamento della stagione 2023/2024, che si terrà per l’occasione alla Cineteca Milano MIC in Viale Fulvio Testi 121 a Milano.
Emanuela Girardi e Federico Cabitza dialogheranno sull’AI, il suo utilizzo, i rischi e privilegi che può portare all’interno della società moderna.