Valeria Gattai
Catene globali del valore e COVID-19. L’esperienza delle imprese lombarde
L’ultimo secolo documenta importanti trasformazioni nella natura del commercio internazionale: “inter-settoriale” agli inizi del 1900, il commercio è diventato “intra-settoriale” nel secondo dopoguerra, e “intra-impresa” ai nostri giorni. Un tratto distintivo della globalizzazione è da ricercarsi proprio nella crescente interconnessione delle fasi del processo produttivo in catene del valore spalmate su più paesi e, pertanto, definite “globali”, global value chains (GVC) con termine inglese. Sempre più imprese partecipano alle GVC, integrandosi a valle come acquirenti di fattori produttivi, a monte come fornitori degli stessi o in entrambe le direzioni.
Consideriamo, a titolo esemplificativo, un processo produttivo costituito da due fasi: l’approvvigionamento dei fattori e il loro assemblaggio in un bene finale. In questo contesto, la partecipazione alle GVC risulta scandita da una doppia scelta, proprietaria e localizzativa: sotto il profilo proprietario, il produttore di beni finali valuta se produrre i fattori al proprio interno (make) o acquistarli da un fornitore indipendente (buy); sotto il profilo localizzativo, sceglie se utilizzare fattori domestici (home) o di importazione (foreign).
Per comprendere l’impatto del COVID-19 sulle catene globali del valore, è necessario studiare come la pandemia ha influenzato la scelta proprietaria e localizzativa. Questa è la sfida raccolta da un recente studio, finanziato dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca con il patrocinio del CefES e coordinato dalla Prof.ssa Valeria Gattai. La ricerca analizza un campione stratificato proporzionale di oltre 200 imprese manifatturiere lombarde, intervistate nel periodo Aprile-Luglio 2020.
Per quanto concerne le strategie di approvvigionamento, dal punto di vista proprietario, emerge una netta preferenza per il buy, poiché i produttori di beni finali tendono ad acquistare i fattori da fornitori indipendenti anziché produrli da sé. Sotto il profilo localizzativo, risulta preponderante la scelta home, dal momento che i produttori di beni finali preferiscono utilizzare fattori domestici anziché importati (Fig 1). I nostri dati suggeriscono che la scelta proprietaria dipende dal grado di standardizzazione dei fattori: più le imprese impiegano fattori specifici, disegnati per soddisfare le esigenze del produttore di beni finali e più si orientano verso il make. Per contro, la scelta localizzativa risulta legata alla produttività: più le imprese sono produttive e più tendono a prediligere il foreign.
Fig 1
Nelle parole degli intervistati, la pandemia COVID-19 ha intaccato l’attività produttiva nell’89% dei casi, operando sia direttamente, per lockdown dell’impresa stessa, sia indirettamente, per lockdown dei clienti o dei fornitori.
Ciononostante, si rileva una notevole inerzia nella scelta proprietaria e localizzativa: solo 13 imprese del campione dichiarano di voler cambiare la propria strategia di approvvigionamento in futuro e, di queste, solo 3 pianificano un cambiamento permanente indotto dal COVID-19. Si tratta di imprese meno produttive e meno interessate all’impiego di fattori specifici rispetto alla media del campione. A livello localizzativo, esse intendono rinunciare completamente al foreign e, sotto il profilo proprietario, puntano a riconvertire parte del make in buy (Fig 2): le catene del valore sopravvivranno alla pandemia, ma saranno meno globali.
Fig 2
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